I Promessi Sposi di Giovanni Fattori

Giovanni Fattori nacque a Livorno il 6 settembre 1825. Grazie all’insegnamento e all’educazione della famiglia, Fattori apprende l’amore per la pittura. Nel giovane ragazzo accresce il naturale talento per il disegno e ben presto la famiglia lo introduce negli studi artistici. Il suo primo maestro fu G. Baldini, uno stimato artista livornese. Nel 1845 Fattori, ormai superati i 20 anni, decise di andare via da Livorno e trasferirsi a Firenze dove divenne uno degli allievi della scuola privata del pittore Bezzuoli. Fattori, dopo una lunga permanenza nella scuola, decise d’iscriversi all’Accademia di Firenze. Ben presto incominciò a criticare questa istituzione perché pensava che per essere un artista non servisse una forma di insegnamento così rigida. Uno dei primi quadri di Fattori fu l’”Autoritratto”, dipinto nel 1854. Successivamente i suoi quadri si focalizzarono sulle battaglie risorgimentali. Nel 1859 l’artista  presenta al concorso Ricasoli, indetto per la celebrazione dell’annessione della Toscana al nuovo Regno d’Italia, il dipinto “Il campo italiano dopo la guerra di Magenta” dove grazie a esso vince il concorso. Dopo una lunga carriera, Giovanni Fattori morì a Firenze il 30 agosto 1908.
L’artista famoso per i suoi quadri che ritraggono i paesaggi della campagna maremma, si confrontò anche con la rappresentazione di storie prese dalla letteratura, infatti nel 1895 Fattori realizzò i disegni per I Promessi Sposi. 
IL ROMANZO
I Promessi Sposi sono stati scritti da Alessandro Manzoni (Milano 1785-1873) negli anni Venti dell’ Ottocento. Il romanzo fu pubblicato per la prima volta nel 1827 e, successivamente, nel 1840, quando, dopo un'accurata revisione linguistica, esce l’edizione definitiva.
L'opera appartiene al genere del romanzo storico, infatti è ambientato in Lombardia durante la dominazione spagnola degli anni 1628-1630. 
TRAMA: I protagonisti del romanzo sono Renzo e Lucia, i due promessi sposi. Dovrebbero sposarsi, ma il matrimonio viene impedito dal capriccio di un signorotto locale, don Rodrigo, che si era invaghito di Lucia, e dalla vigliaccheria del loro curato, don Abbondio, sottomesso e terrorizzato don Rodrigo. Renzo e Lucia cercano lo stesso di sposarsi di nascosto, ma il tentativo fallisce e i due, aiutati da Padre Cristoforo, riescono a scappare. Arrivati a Monza, Renzo prosegue la sua fuga verso Milano, mentre Lucia viene affidata a Gertrude, la monaca di Monza. Le traversie per i due giovani non sono finite: Lucia viene rapita da Egidio, e portata al castello dell ‘Innominato, dove lei, disperata, decide di fare un voto alla Madonna dove rinucia per sempre a Renzo. Quest’ultimo, si ritrova, suo malgrado, a partecipare alla sommossa di Milano. Alla fine, dopo tanti ostacoli e tanta sofferenza, i due si ritrovano.  Lucia rinuncia al voto fatto e i due finalmente si sposano.
I DISEGNI
Giovanni Fattori realizza i disegni de I Promessi Sposi nel 1895.
La vicenda si può ricostruire attraverso le lettere che l’artista e Diego Martelli si sono scambiati nel 1895 e ora conservate alla Biblioteca Marucelliana di Firenze.
Fattori riceve la richiesta da parte di un editore milanese, Ulrico Hoepli, di partecipare ad un concorso per illustrare i Promessi Sposi. 
Grazie a questo concorso avrebbe potuto vincere una somma di diecimila lire, a lui utili per pagare un debito:
Mi è capitato questo affare, cioè non un affare una speranza. Un editore milanese Ulrico Hoepli, editore libraio; ha bandito un concorso per illustrare i Promessi Sposi per la somma di diecimila lire […] Questo signore mi ha scritto particolarmente pregandomi a concorrere per la stima che ha di me come artista. Io concorrerò e se vinco saranno altre speranze per pagare il mio debito, se perdo avrò fatto il mio dovere. 
(Lettera di G. Fattori a D. Martelli, Livorno 28 agosto 1895)

Fattori sentiva che  il romanzo non gli apparteneva:
Da Civelli mi sono fatto dare i Promessi Sposi che sto leggendo, e quando tornerò a Firenze mi metterò subito a l’opera. Rido sui soggetti che mi dai p. fare e così entrare in una nuova vita di attualità, di clericale, ipocrita – e anche un tantino porco - … anche volendo sagrificarmi, ed essendo certo di pagare il grosso debito non lo farei – sarebbe anche la mia decadenza dell’arte – bisogna sempre fare quello che si ama, ma non quello che ripugna…
(Lettera di G. Fattoria a D. Martelli, Livorno 6 settembre 1895)

Ma dopo i rimproveri dell'amico Martelli l'artista si convince: 
E con tutto l’entusiasmo che io mi metterò a concorrere all’illustrazione dei Promessi Sposi e tanto e vero che ti diceva di avermeli procurati per leggerli il Civelli e che sto leggendo e che trovo bellissimi e scritti da un uomo di cuore, e onesto. Figurati che essendo qui Tito Conti ho già impegnato i costumi dei Bravi e altri se ne avrà; ed appena anderò a Firenze mi ci metto subito, e tornerò a mettere in uso quella fantasia che ti compiaci tanto decantare. Se riescirò non so, perché allora era giovine ma la fibra non mi pare ancora indebolita – vedremo. 
(Lettera di G. Fattori a D. Martelli, Livorno 13 settembre 1895)

Purtroppo il concorso non fu vinto da Fattori ma ci rimangono i disegni che lui realizzò.

don Abbondio

Cap. I. Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell'anno 1628, don Abbondio, curato d'una delle terre accennate di sopra: il nome di questa, né il casato del personaggio, non si trovan nel manoscritto, né a questo luogo né altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizio, e talvolta, tra un salmo e l'altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l'indice della mano destra, e, messa poi questa nell'altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli occhi all'intorno, li fissava alla parte d'un monte, dove la luce del sole già scomparso, scappando per i fessi del monte opposto, si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora. Aperto poi di nuovo il breviario, e recitato un altro squarcio, giunse a una voltata della stradetta, dov'era solito d'alzar sempre gli occhi dal libro, e di guardarsi dinanzi: e così fece anche quel giorno.

I Bravi e don Abbondio

Cap. I.  - Signor curato, - disse un di que' due, piantandogli gli occhi in faccia.
- Cosa comanda? - rispose subito don Abbondio, alzando i suoi dal libro, che gli restò spalancato nelle mani, come sur un leggìo.
- Lei ha intenzione, - proseguì l'altro, con l'atto minaccioso e iracondo di chi coglie un suo inferiore sull'intraprendere una ribalderia, - lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella!
- Cioè... - rispose, con voce tremolante, don Abbondio: - cioè. Lor signori son uomini di mondo, e sanno benissimo come vanno queste faccende. Il povero curato non c'entra: fanno i loro pasticci tra loro, e poi... e poi, vengon da noi, come s'anderebbe a un banco a riscotere; e noi... noi siamo i servitori del comune.
- Or bene, - gli disse il bravo, all'orecchio, ma in tono solenne di comando, - questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai.

Padre Cristoforo, Lucia e la madre
Cap. IV-V. Ma, intanto che noi siamo stati a raccontare i fatti del padre Cristoforo, è arrivato, s'è affacciato all'uscio; e le donne, lasciando il manico dell'aspo che facevan girare e stridere, si sono alzate, dicendo, a una voce: - oh padre Cristoforo! sia benedetto!
Il qual padre Cristoforo si fermò ritto sulla soglia, e, appena ebbe data un'occhiata alle donne, dovette accorgersi che i suoi presentimenti non eran falsi. Onde, con quel tono d'interrogazione che va incontro a una trista risposta, alzando la barba con un moto leggiero della testa all'indietro, disse: - ebbene? - Lucia rispose con uno scoppio di pianto. La madre cominciava a far le scuse d'aver osato... ma il frate s'avanzò, e, messosi a sedere sur un panchetto a tre piedi, troncò i complimenti, dicendo a Lucia: - quietatevi, povera figliuola. E voi, - disse poi ad Agnese, - raccontatemi cosa c'è! - Mentre la buona donna faceva alla meglio la sua dolorosa relazione, il frate diventava di mille colori, e ora alzava gli occhi al cielo, ora batteva i piedi. Terminata la storia, si coprì il volto con le mani, ed esclamò: - o Dio benedetto! fino a quando...! - Ma, senza compir la frase, voltandosi di nuovo alle donne: - poverette! - disse: - Dio vi ha visitate. Povera Lucia!
- Non ci abbandonerà, padre? - disse questa, singhiozzando.
- Abbandonarvi! - rispose. - E con che faccia potrei io chieder a Dio qualcosa per me, quando v'avessi abbandonata? voi in questo stato! voi, ch'Egli mi confida! Non vi perdete d'animo: Egli v'assisterà: Egli vede tutto: Egli può servirsi anche d'un uomo da nulla come son io, per confondere un... Vediamo, pensiamo quel che si possa fare.

l’Innominato
Cap. XXI.  Intanto l'innominato, ritto sulla porta del castello, guardava in giù; e vedeva la bussola venir passo passo, come prima la carrozza, e avanti, a una distanza che cresceva ogni momento, salir di corsa il Nibbio. Quando questo fu in cima, il signore gli accennò che lo seguisse; e andò con lui in una stanza del castello.
- Ebbene? - disse, fermandosi lì.
- Tutto a un puntino, - rispose, inchinandosi, il Nibbio: - l'avviso a tempo, la donna a tempo, nessuno sul luogo, un urlo solo, nessuno comparso, il cocchiere pronto, i cavalli bravi, nessun incontro: ma...
- Ma che?
- Ma... dico il vero, che avrei avuto più piacere che l'ordine fosse stato di darle una schioppettata nella schiena, senza sentirla parlare, senza vederla in viso.
- Cosa? cosa? che vuoi tu dire?
- Voglio dire che tutto quel tempo, tutto quel tempo... M'ha fatto troppa compassione.
- Compassione! Che sai tu di compassione? Cos'è la compassione?
- Non l'ho mai capito così bene come questa volta: è una storia la compassione un poco come la paura: se uno la lascia prender possesso, non è più uomo.
- Sentiamo un poco come ha fatto costei per moverti a compassione.
- O signore illustrissimo! tanto tempo...! piangere, pregare, e far cert'occhi, e diventar bianca bianca come morta, e poi singhiozzare, e pregar di nuovo, e certe parole...
"Non la voglio in casa costei, - pensava intanto l'innominato.
- Sono stato una bestia a impegnarmi; ma ho promesso, ho promesso. Quando sarà lontana..." E alzando la testa, in atto di comando, verso il Nibbio, - ora, - gli disse, - metti da parte la compassione: monta a cavallo, prendi un compagno, due se vuoi; e va' di corsa a casa di quel don Rodrigo che tu sai. Digli che mandi... ma subito subito, perché altrimenti...
Ma un altro no interno più imperioso del primo gli proibì di finire. - No, - disse con voce risoluta, quasi per esprimere a se stesso il comando di quella voce segreta, - no: va' a riposarti; e domattina... farai quello che ti dirò!
"Un qualche demonio ha costei dalla sua, - pensava poi, rimasto solo, ritto, con le braccia incrociate sul petto, e con lo sguardo immobile sur una parte del pavimento, dove il raggio della luna, entrando da una finestra alta, disegnava un quadrato di luce pallida, tagliata a scacchi dalle grosse inferriate, e intagliata più minutamente dai piccoli compartimenti delle vetriate. - Un qualche demonio, o... un qualche angelo che la protegge... Compassione al Nibbio!... Domattina, domattina di buon'ora, fuor di qui costei; al suo destino, e non se ne parli più, e, - proseguiva tra sé, con quell'animo con cui si comanda a un ragazzo indocile, sapendo che non ubbidirà, - e non ci si pensi più. Quell'animale di don Rodrigo non mi venga a romper la testa con ringraziamenti; che... non voglio più sentir parlar di costei. L'ho servito perché... perché ho promesso: e ho promesso perché... è il mio destino. Ma voglio che me lo paghi bene questo servizio, colui. Vediamo un poco...

  L’Innominato, Lucia e la vecchia
Cap. XXI. L'innominato, dalla soglia, diede un'occhiata in giro; e, al lume d'una lucerna che ardeva sur un tavolino, vide Lucia rannicchiata in terra, nel canto il più lontano dall'uscio.
- Chi t'ha detto che tu la buttassi là come un sacco di cenci, sciagurata? - disse alla vecchia, con un cipiglio iracondo.
- S'è messa dove le è piaciuto, - rispose umilmente colei: - io ho fatto di tutto per farle coraggio: lo può dire anche lei; ma non c'è stato verso.
- Alzatevi, - disse l'innominato a Lucia, andandole vicino. Ma Lucia, a cui il picchiare, l'aprire, il comparir di quell'uomo, le sue parole, avevan messo un nuovo spavento nell'animo spaventato, stava più che mai raggomitolata nel cantuccio, col viso nascosto tra le mani, e non movendosi, se non che tremava tutta.
- Alzatevi, ché non voglio farvi del male... e posso farvi del bene, - ripeté il signore... - Alzatevi! - tonò poi quella voce, sdegnata d'aver due volte comandato invano.
Come rinvigorita dallo spavento, l'infelicissima si rizzò subito inginocchioni; e giungendo le mani, come avrebbe fatto davanti a un'immagine, alzò gli occhi in viso all'innominato, e riabbassandoli subito, disse: - son qui: m'ammazzi.
- V'ho detto che non voglio farvi del male, - rispose, con voce mitigata, l'innominato, fissando quel viso turbato dall'accoramento e dal terrore.
- Coraggio, coraggio, - diceva la vecchia: - se ve lo dice lui, che non vuol farvi del male...
- E perché, - riprese Lucia con una voce, in cui, col tremito della paura, si sentiva una certa sicurezza dell'indegnazione disperata, - perché mi fa patire le pene dell'inferno? Cosa le ho fatto io?...
- V'hanno forse maltrattata? Parlate.
- Oh maltrattata! M'hanno presa a tradimento, per forza! perché? perché m'hanno presa? perché son qui? dove sono? Sono una povera creatura: cosa le ho fatto? In nome di Dio...
- Dio, Dio, - interruppe l'innominato: - sempre Dio: coloro che non possono difendersi da sé, che non hanno la forza, sempre han questo Dio da mettere in campo, come se gli avessero parlato. Cosa pretendete con codesta vostra parola? Di farmi...? - e lasciò la frase.
                          Marilena Cangiatosi, Chiara Avalli, Martina del Conte, Franchini Giada




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